sabato 25 aprile 2015

25 APRILE: RESISTERE!

RESISTERE RESISTERE RESISTERE
I valori della nostra "RESISTENZA", farsi società unita e forte, società che riscopre se stessa ed il senso di tutto nell'ideale comune di un mondo libero e migliore. Contro una tirannide. Mi son chiesto quanti tipi di tirannide oggi attanagliano il nostro tempo: la criminalità in ogni sua forma, tirannide del dio-denaro, sperequazioni economiche tra nazioni e all'interno di esse tra le fasce di lavoratori nella stesso Paese, crisi speculative che massacrano le classi più deboli, mercanti di morte che seminano disperazione e fanno scempio di vite umane, rendendo quel mare che fu culla di vita e civiltà una tomba; le piaghe sociali come l'abuso di stupefacenti e tutto un elenco sterminato di "tirannidi" che schiavizzano uomini e coscienze, la mancanza della certezza di un lavoro che doni dignità e serenità a giovani e meno giovani e continueremmo l'elenco all'infinito.. Il mondo materiale e i suoi biechi e squallidi interessi che vince sull'anima e sul cuore..
No! Non é finito il tempo della Resistenza, ogni giorno almeno un buon motivo per resistere viene a cercarci. Ogni giorno sentiamo bruciare in petto la prepotente voglia di non restarcene in silenzio a guardare la rovina circostante senza muoverci.
Se non sapremo riscoprirci "fratelli" nei valori della Resistenza non vinceremo mai.
Mi hanno colpito molto le parole di Calamandrei, che lascio di seguito a tutti. Felice Festa della Liberazione.. Felice Resistenza a tutti:
[...] Ma fino da allora cominciò la Resistenza: contro l’oppressione fascista che voleva ridurre l’uomo a cosa, l’antifascismo significò la Resistenza della persona umana che si rifiutava di diventare cosa e voleva restare persona: e voleva che tutti gli uomini restassero persone: e sentiva che bastava offendere in un uomo questa dignità della persona, perché nello stesso tempo in tutti gli altri uomini questa stessa dignità rimanesse umiliata e ferita. Cominciò così, quando il fascismo si fu impadronito dello Stato, la Resistenza che durò venti anni. Il ventennio fascista non fu, come oggi qualche sciagurato immemore figura di credere, un ventennio di ordine e di grandezza nazionale: fu un ventennio di sconcio illegalismo, di umiliazione, di corrosione morale, di soffocazione quotidiana, di sorda e sotterranea disgregazione civile. Non si combatteva più sulle piazze, dove gli squadristi avevano ormai bruciato ogni simbolo di libertà, ma si resisteva in segreto, nelle tipografie clandestine dalle quali fino dal 1925 cominciarono ad uscire i primi foglietti alla macchia, nelle guardine della polizia, nell’aula del Tribunale speciale, nelle prigioni, tra i confinati, tra i reclusi, tra i fuorusciti. E ogni tanto in quella lotta sorda c’era un caduto, il cui nome risuonava in quella silenziosa oppressione come una voce fraterna, che nel dire addio rincuorava i superstiti a continuare: Matteotti, Amendola, don Minzoni, Gobetti, Rosselli, Gramsci, Trentin. Venti anni di resistenza sorda: ma era resistenza anche quella: e forse la più difficile, la più dura e la più sconsolata.
Vent’anni: e alla fine la guerra partigiana scoppiò come una miracolosa esplosione. Lo storico che fra cento anni studierà a distanza le vicende di questo periodo, narrerà la guerra di liberazione come una guerra che durò venticinque anni, dal 1920 al 1945, e ricorderà che la sfida lanciata dagli squadristi del 1920 fu raccolta e definitivamente stroncata dai partigiani del 1945. E il 25 aprile finalmente i vecchi conti col fascismo furono saldati: e la partita conclusa per sempre.
Non bisogna credere, come qualche pietoso oggi vorrebbe per carità di patria, che gli orrori degli ultimi due anni siano stati così spaventosi solo perché il nemico era mutato: perché gli oppressori non erano più soltanto i fascisti nostrani, ma erano gli invasori tedeschi, gli Unni calati dai paesi della barbarie.
E’ vero sì, che gli ultimi due anni portano il nome di Kesselring; ma Kesselring fu l’ultimo dono che Mussolini fece all’Italia; fu l’ultimo volto di una follia che da venti anni preparava l’Italia a quell’epilogo spaventoso. Su su, regione per regione, borgo per borgo, porta per porta, la furia barbarica, chiamata in casa nostra dal dittatore impazzito, passava e livellava come una falce. […]
La Resistenza alla fine li spazzò via; ma non bisogna oggi considerar quell’epilogo soltanto come la cacciata dello straniero. Quella vittoria non fu soltanto vittoria contro gli invasori di fuori: fu vittoria contro gli oppressori, contro gli invasori di dentro. Perché, sì, veramente, il fascismo fu un’invasione che veniva dal di dentro, un prevalere temporaneo di qualche cosa di bestiale che si era annidato o si era ridestato dentro di noi: e la Liberazione fu veramente come la crisi acuta di un morbo che finalmente si spezzava dentro il nostro petto, come lo strappo risoluto con cui il popolo italiano riuscì con le sue stesse mani a svellere dal suo cuore un groviglio di serpi, che per venti anni l’aveva soffocato.
Vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo. Questo fu il significato morale della Resistenza: questa fu la fiamma miracolosa della Resistenza.
Aver riscoperto la dignità dell’uomo, e la universale indivisibilità di essa: questa scoperta della indivisibilità della libertà e della pace, per cui la lotta di un popolo per la sua liberazione è insieme lotta per la liberazione di tutti i popoli dalla schiavitù del denaro e del terrore, questo sentimento della uguaglianza morale di ogni creatura umana, qualunque sia la sua nazione o la sua religione o il colore della sua pelle, questo è l’apporto più prezioso e più fecondo di cui ci ha arricchito la Resistenza.
[Tratto da Passato e avvenire della Resistenza, discorso tenuto da Piero Calamandrei il 28 febbraio 1954 al Teatro Lirico di Milano, alla presenza di Ferruccio Parri].

giovedì 23 aprile 2015

VIII CONGRESSO SIAP PALERMO

RELAZIONE INTRODUTTIVA ALL'OTTAVO CONGRESSO SIAP PALERMO
"Palermo... e una sicurezza che cambia"
Quando il Segretario Generale Salvatore COMO ha deciso di affidarmi la relazione introduttiva, da subito ho avuto chiaro in mente quanto fosse complesso il compito che mi aveva affidato. Difficile perché articolata e complessa è stata ed è l’attività del sindacato di Polizia, difficile perché difficile é incarnare le aspettative e le esigenze di una categoria di lavoratori così composita e variegata in un momento tanto complicato ed astruso a livello sociale e politico, tanto a Palermo quanto al resto dell’Italia.. Difficile perché rappresentare una categoria di lavoratori che “istituzionalmente” rischiano la vita e altrettanto istituzionalmente vedono calpestate le loro legittime aspettative, relegati spesso a cittadini di serie “C”, impone profonde riflessioni da porre all’attenzione di tutti. E “cambia la sicurezza”, cambia il senso della sicurezza ed il bisogno di legalità accompagnato ad essa, ed è difficile e sottile interpretarne i cambiamenti.
Ma davanti a tante difficoltà c’era qualcosa di facile ed era individuare una via da seguire. Chi fa sindacato di Polizia è prima di tutto un poliziotto, una donna o una uomo che sa che la propria vita sarà nelle mani di un pericolo incombente per mettere in sicurezza persone di cui non conosce nulla.. votati al sacrificio per professione! Ma credetemi questo non può avvenire per quella miseria di stipendio che certamente non vale una vita umana. Avviene perché tutti coloro che indossano una divisa lo fanno sotto una spinta motivazionale fortissima splendente, la coscienza che il bene comune attiene a quella sfera luminosa superiore all’interno della quale sono relegati i più profondi e veri interessi di una società intera, perché matura dentro se la certezza, anche inconscia, che quell’estremo sacrificio cui potrebbe essere chiamato da un momento all’altro, quel distacco dai suoi cari, potrebbe essere quel piccolo ma indispensabile ingranaggio che fa del mondo che lo uccide oggi, un posto migliore domani. Martiri per sacrificio, io li chiamo EROI. Eroi silenziosi che mille volte rischiano la vita e solo una si guadagnano la notorietà, quando il mondo li piange. BORIS GIULIANO, DOMENICO RUSSO, CALOGERO ZUCCHETTO, NINNI CASSARÀ, ROBERTO ANTIOCHIA, NATALE MONDO, NINO AGOSTINO E IDA CASTELLUCCIO, EMANUELE PIAZZA, ANTONIO MONTINARO, VITO SCHIFANI, ROCCO DI CILLO, EMANUELA LOI, WALTER EDDIE COSINA, AGOSTINO CATALANO, VINCENZO LI MULI, CLAUDIO TRAINA.
Rimangono impresse ed indelebili le terribili immagini di quei funerali quando la gente urlava di voler entrare in Chiesa per rendere omaggio ai “suoi morti”, quelli che la gente sana di Palermo considerava e considera i suoi morti. Non i morti della Polizia, di una sola categoria, ma i figli e i fratelli di tutti. Così che anche io da poliziotto a mia volta possa ritenere miei fratelli persone come Giuseppe Fava, Peppino Impastato, Libero Grassi e P. Pino Puglisi.
La nostra città non poteva e non può più permettersi che il legame imprescindibile, essenziale e naturale che lega poliziotti e cittadini sia dilaniato e reciso, perché in fondo abbiamo sempre creduto che quel legame doveva solo ripulito da anni e anni di scorie istituzionali.. Perché vedete, ciò che una intera classe politica ha fatto per anni, in maniera più o meno evidente, ossia tenere le FF.OO. lontane dalla gente è stato molto più di una bieca strategia politica, è stato ed è ogni volta che ci provano uno scempio sociale. Uno scempio acuito dal fatto che ormai, senza che nessuno si scandalizzi, possiamo serenamente affermare che il sistema sicurezza oggi si basa solo su quell’abusatissimo senso di responsabilità dei poliziotti che li condanna a fare molto più di ciò che consideriamo “il dovuto”: penso ai colleghi dell’UPGSP auto disastrate delle volanti, radio non funzionanti, corsi di formazione che non avvengono quasi mai e quando avvengono si fanno con il contagocce, penso alle fatiscenti auto blindate (quando ci sono) dei colleghi delle SCORTE, con centinaia di migliaia di km alle spalle, gomme usurate e sospensioni e motori inefficienti, Reparto dove il Siap ha dovuto denunciare addirittura la mancanza di lampeggianti e giubbotti antiproiettile, ai colleghi della SQUADRA MOBILE e della DIGOS, reparti di alta investigazione ed intelligence, privi dei mezzi minimi per lavorare serenamente, i cui dirigenti avrebbero fatto meglio a studiare economia piuttosto che giurisprudenza, visto che devono fare i contabili e ragionieri ed amministrare le scarsissime risorse a disposizione; ai colleghi dei COMMISSARIATI sezionali, posti di trincea, quali Brancaccio e San Lorenzo che lavora sullo ZEN, ma penso a quelle frontiere di provincia che sono i commissariati distaccati, spesso isole come Partinico o Corleone in terra di scontri mafiosi dove ogni giorno si continua a sparare ed uccidere, agli uffici immigrazione per garantire il diritto alla salute dei quali abbiamo avuto la necessità di ricorrere ad un intervento della segreteria nazionale; ai reparti mobili e i RPC sbattuti a destra ed a manca senza che sia loro concessa la possibilità di regolare una vita sociale e prendere comunemente impegni; penso alla polizia di frontiera con personale rimaneggiatissimo, dove i colleghi chiedono volontari di lavorare quando sono a riposo pur di non lasciare soli i compagni.
Penso a tutta la categoria dei poliziotti che si sono visti bloccare illegittimamente gli stipendi per 4 anni, che hanno i contratti fermi da 8 anni, che non arrivano a fine mese e che non possono svolgere nessuna attività lavorativa extra; penso ai colleghi che si vedono ingabbiati e condannati volontariamente a straordinari pagati euro 6.50 l’ora pur di sbarcare il lunario, che si vedono precluse, le possibilità di carriera interna e che quando parlano di “porcata, truffa, meritocraticidio, infamia”, pensano a quell’aborto di concorsone che sapevamo fin dall’inizio che sarebbe stata una farraginosa ed inutile spesa che, come risultato unico, avrebbe annientato le possibilità di guardare avanti per tutti i “giovani adulti! della polizia con meno di 24/25 anni di servizio e che solo NOI DEL SIAP abbiamo avversato.
Penso ad una forza di Polizia che aspetta da anni un riordino che la renda più funzionale e possa rispondere alle aspettative del sistema sicurezza e a quelle altrettanto legittime dei poliziotti, penso al sindacato di Polizia che è costretto a elemosinare gli strumenti di lavoro snaturando il suo ruolo, perché se chiediamo auto, divise, lampeggianti e corsi d’aggiornamento non stiamo chiedendo i diritti ma i doveri, ovvero la possibilità di poter lavorare professionalmente e serenamente. Un poliziotto che lavora sicuro, un poliziotto motivato è un valore aggiunto per l’intera comunità, noi anche di questo ci facciamo carico: essere pungolo attivo e vivace laddove tutti sembrano assopirsi nel sonno della ragione e delle responsabilità.
In questa sala ci sono dei ragazzi, alcuni giunti da poco a Palermo, Claudio, Giovanni, Antonio, Giulio e Alessio, giovani eletti come delegati da gente che ha più anni di servizio di quanto loro ne abbiano di vita. Sono il segno della speranza, giovani che prendono nei posti di lavoro in mano le redini di un sindacato che ormai è l’ultimo baluardo a tutela dei diritti dell’intera società civile, primo tra tutti il diritto alla sicurezza.
Il sindacato interpretando i cambiamenti del mondo si fa rete, incontra la gente, ritrova la sua essenza di parte sociale. Va nelle scuole di ogni ordine e grado e abbraccia per strada, nelle piazze quei movimenti civici che con animo e cuore si sono voluti fare scorta “civica” attorno ai nostri ragazzi delle scorte e ai magistrati, abbraccia quei ragazzi che hanno chiesto e continuano a chiedere incessantemente che si faccia luce sulle stragi ove hanno perso la vita tante persone in divisa. Ma temo di aver confuso gli aggettivi possessivi. Gli uomini e le donne delle scorte non sono i “nostri” uomini, così come non lo sono gli uomini e le donne delle volanti o dei commissariati o gli uomini degli uffici prettamente investigativi. Sono i figli e i fratelli della società civile. SONO SOCIETA’ CIVILE. L’abbraccio della quale abbiamo sentito e sentiamo ogni anno in via D’Amelio e dall’anno scorso anche dentro la Caserma Lungaro.
Oggi più che mai bisogna camminare insieme, riscoprire il senso dell’unità, un nuovo “NOI”. Ed è per questo forse oggi il danno peggiore alle F.O. viene fatto da quelle fazioni politiche che si ergono ad una “non richiesta” e solo apparente difesa ad oltranza delle forze di Polizia, arrivando a paradossi e mistificazioni che allontanano la gente dalle loro sorelle e fratelli in divisa.
Le stesse che meschinamente mettono in relazione la disperazione di chi scappa dalla fame e dalla guerra, con chi invece la guerra la crea e la porta avanti con la peggiore efferatezza che gli ultimi decenni ricordino. Agli sbarchi, ad assistere i fratelli d’oltre mare ci siamo noi e nessun poliziotto prova disprezzo o rabbia o spinte razziste quando prende in braccio un bambino disidratato e consunto da giorni e giorni in balia di mare e cattiva sorte, MAI!
Se la gente ci sente “propri” abbiamo vinto la nostra battaglia ed i colleghi non dovranno temere quando lavorano a rischio della vita immagini estrapolate ad arte da telefonini cellulari, che sono percepiti sempre pronti quando si deve crocifiggere un poliziotto e screditare l’intero corpo di Polizia, e sempre spenti quando c’è da filmare un crimine e metterlo a disposizione degli inquirenti.
I poliziotti hanno bisogno della gente almeno tanto quanto la gente ha bisogno dei poliziotti. Anche e soprattutto nei quartieri più disgraziati della nostra città, perché la sicurezza –lo diceva il nostro sempre compianto Antonio Manganelli- si fa anche irrorando un quartiere di servizi, illuminazione, spazi e verde pubblico. Mai più ghetto, ma integrazione. Non possono esistere zone franche dove si spara ogni giorno, e dove i nostri uomini rischiano la vita anche negli interventi più banali. C’è bisogno di leggi certe che non scoraggino gli operatori della giustizia. Vogliamo segnali chiari da parte del mondo politico che non riesce a smuovere dal Senato una legge sulla corruzione da 738 giorni, ma che è riuscito in un battito di ciglia a cancellare anni di conquiste lavorative e sociali, previste nell’art.18, riversando in piazza migliaia di lavoratori che proprio quei poliziotti, che pur ne condividevano le loro ragioni, si son trovati a fronteggiare. Quando la Polizia occupa gli spazi che la politica lascia vuoti è allora che si concretizza lo scempio sociale massimo.
Noi del SIAP abbiamo un grande sogno: vogliamo rendere grandissimo il Siap, ma non per una difesa di bandiera o una concezione calcistica, ma perché sappiamo di essere e vogliamo essere il più grande baluardo a difesa della dignità dei poliziotti e di conseguenza di una società migliore, perché riteniamo cha anche da lì passa il fondamento di una società più giusta.
Viva le donne e gli uomini della Polizia di Stato, viva le donne e gli uomini del Siap, viva le donne e gli uomini della società civile insieme ai quali lavoreremo ogni giorno per fare della nostra Palermo,come diceva Paolo Borsellino, un posto bellissimo..
Grazie.
Luigi Lombardo Seg. Prov. SIAP Palermo

sabato 18 aprile 2015

Uff. Immigrazione: gravi problematiche

UFFICIO IMMIGRAZIONE: GRAVI PROBLEMATICHE

        AL SIGNOR QUESTORE DI                                                               PALERMO
E p.c.
         ALLA SEGRETERIA NAZIONALE                                                          ROMA

Signor Questore,
Gli sforzi in questi giorni compiuti da tutte le donne e gli uomini della Polizia di Stato nella nostra provincia per fronteggiare le emergenze connesse agli sbarchi sono state e continuano ad essere encomiabili. Tra questi notevole è stato l’impegno in primis dei colleghi dell’Ufficio Immigrazione. Ufficio che tra l’altro è continuo oggetto di interesse da parte della nostra O.S. per le continue problematiche che non si riesce mai a risolvere senza innalzare il livello delle posizioni.
In questo caso la storia purtroppo non cambia e la estrema gravità della situazione non ci consente di indugiare. Ci giungono notizie dai rappresentanti sindacali sul posto di lavoro che si sarebbero di recente verificati 2 casi di positività ai test di controllo anti tubercolari. In giorni di alto impatto e stress lavorativo, notizie come queste creano disagio e apprensione tra i colleghi. Urge fare chiarezza. E’ vero che ci sono stati 2 casi di positività a 2 diversi e successivi livelli di test per la tubercolosi? Se si, esiste un protocollo di sicurezza volto a tutelare le stesse persone interessate e i loro colleghi da eventuali rischi di contagio? Se il protocollo esiste, è stato rispettato? Sono stati rispettati i tempi, che auspichiamo più celeri possibili, tra un esame e l’altro? I colleghi interessati hanno dovuto sostenere spese per svolgere gli esami clinici? Se questo è avvenuto, sono stati attivati meccanismi di ausilio e sostegno, anche economico, a favore dei colleghi interessati?
Ma non si esauriscono qui le problematiche di un ufficio che anche nei momenti di maggiore sforzo di personale sembra riuscire a fare a meno di qualcuno dei suoi dipendenti, magari per rispondere a logiche che non conosciamo. Ci viene rappresentato che sia stata negata la possibilità di utilizzare un’auto di servizio per i colleghi che dovevano recarsi al Porto di Palermo per i noti servizi, costringendo i colleghi a recarsi in loco con i propri mezzi. Se l’episodio si fosse realmente verificato, le chiediamo di accertare i motivi e di impedire che un fatto del genere si possa ripetere in futuro.
Certi che in questi giorni più che mai sia necessaria chiarezza e cortese celerità di risposte, rimaniamo in urgente attesa di notizie.
Palermo 16/ 04/ 2015

                                                                                 LA SEGRETERIA PROVINCIALE SIAP